gigioneggiare v. intr. [der. di gigione] (io gigionéggio, ecc.; aus. avere). – 1. Tendere nella recitazione al raggiungimento di facili effetti scenici. 2. Per estens., nel linguaggio com., assumere atteggiamenti teatrali, di facile effetto.
Il coach (ho un coach, sì; non ve l’avevo detto? Per preparare la maratona ho preferito farmi seguire. È una specie di oracolo) mi dà dei tempi e dei riferimenti per la gara di domenica.
Si corre ad Angri, la mia cittadina. Si corre sotto casa mia, sulle strade per cui passo ogni giorno.
Perciò venerdì, appena stacco dal lavoro, mi metto a ragionare:
cosa fare; come e quando farlo.
Non è una gara fondamentale, in ottica maratona, ma è ovvio che ci tenga a fare una bella figura.
Cosa fare:
gestire bene il ritmo, considerando che un’altra settimana di allenamenti mi aspetta e che c’è la 21km a Napoli.
Come fare:
parto forte, senza strafare, poi attenzione al ritmo; fatto il tratto più tecnico, giù in relax fino al traguardo.
Quando farlo:
ok, a quella curva spingo, lì devo stare attento al basalto; poi lì allungo la falcata…
Ma anche
Cosa, come e quando fare:
fare attenzione a salutare zia Rita, ché due anni fa non l’ho vista;
e mandarle dei baci;
correre con le chiavi in mano,
ché questa è casa mia;
lasciare la maglia del riscaldamento al bar in piazza;
buttare un po’ di coriandoli sotto il bandierone calato dai miei genitori.

La gara è bella, rapida.
Il percorso è stato cambiato l’anno scorso; per me è la prima volta.
Parto bene.
Parto davanti, non resto intasato. Mi libero subito e prendo ritmo.
Il primo chilometro lo faccio forte, è un po’ in discesa; al passaggio sotto casa mia sento i fischietti e vedo il bandierone srotolato.
I chilometri fino al quarto sono gestibili e scorrevoli.
Il percorso è migliorato, si va veloci.
Cerco di stare sempre agganciato a chi mi precede.
Mi sento rilassato, nonostante l’insolito chilometraggio elevato di quest’ultimo periodo.
Arriva il quarto chilometro.
È il peggiore. Due curve sul basalto un po’ sconnesso, poi trecento metri ancora sui basoli, infine curva stretta.
Gestisco. Ci ho pensato.
Penso a come devo correrci, mi scelgo le pietre giuste.
Intanto saluto un po’ di gente.
Angri è piccolina. Mi vedono correre in strada da più di dieci anni.
Antonio alla rotatoria; Gerardo ed Enzo, mitici; Zia Rita, bella; Gigino, che in piazza mi lancia un urlo e guadagno 3 secondi al chilometro immediatamente.
Finito il primo giro, abbiamo una proiezione finale di 34’20”.
Avete ragione, roba troppo tecnica, è noiosa.
Ve la spiego in poco: previsione troppo ottimistica.
La gara sarà più corta.
Oh, niente di strano. Nelle gare su strada è quasi la normalità, a meno che non siano gare Fidal.
Lo sappiamo tutti.

Secondo giro.
Stesso percorso.
Qualcun altro mi saluta. Il ragazzo che corre al mio fianco mi guarda.
“Li ho pagati tutti”, gli dico.
Valuto le condizioni. Sto bene. Tranquillo.
Eppure mi viene un po’ di paranoia: e se dovessi mollare?
Mi calmo: non ho mai corso tanti chilometri settimanali; la tenuta sulla distanza è l’ultimo dei problemi.
Ho davanti un runner che conosco di nome e che non ho mai “battuto” in gara.
Mi serve da sprone. Mi attacco dietro di lui. Lo vedo correre un po’ sbracciante. Tiene il ritmo, ma sembra un po’ stanco.
Aspetto il nono chilometro, la replica del quarto, quello scocciante per via della pavimentazione e della salitina. Sui basoli aumento i passi e accelero.
Non mi tiene, vado via assieme a un altro ragazzo, che sta chiudendo la gara in agilità.
Quando giriamo l’angolo, si vede già il traguardo in fondo al corso.
Sono contento.
Non ho pensato a gag per l’arrivo.
Sono rilassato.
All’arrivo tante altre persone che conosco: Gigi che dà i biglietti-premio, i miei, Nunzio; c’è anche Gianni, che è il co-responsabile della mia passione per la corsa.
Mi fermo un istante, saluto gli altri che hanno chiuso la gara col mio stesso tempo, poi attacco subito con gli altri cinque chilometri che devo correre, come da programma.

Il bello della gara in casa è che vado farmi la doccia, poi torno in zona gara per le premiazioni.
Tocca anche a me salire sul podio, come primo angrese al traguardo.
È un piccolo trofeo, ma è bello riceverlo da Antonio, che conosco da che era bambino; ed è bello salire sul palco con Maranna, esemplare per dedizione e passione, ottima atleta della mia stessa squadra.

Che se non mi piacesse il mio nome, per quante volte mi hanno chiamato così, lo avrei già cambiato.
Poi torniamo a casa. Arrivano Iva e Fede. Andiamo a prendere il caffè.
Come mio solito, dopo le gare, straparlo.
E dico fesserie, e faccio calcoli, e già penso ai prossimi allenamenti, alle gare.
Cominciate a correre.
Davvero.
Specie se siete annoiati, confusi, timorosi.
Fatelo, poi assieme straparleremo, diremo fesserie, immagineremo gare fantastiche.
