Io non ci credo.
A quelli che dicono che lo fanno solo per stare bene non ci credo.
Cioè, io l’ho fatto per un periodo breve: ho corso per il piacere di correre senza guardare tempi, andature e tutto il resto.
Un periodo triste.
Alla fine mi sono ritrovato con un paio di chili in più (e per forza, facevo solo fondo lento) e una certa rassegnazione nell’anima.
(Contano tanto anche le persone che abbiamo intorno, eh.)
Finché non ho pensato: “Ma che è ‘st’angoscia da vecchi decrepiti? Devo tornare a fare le gare. Subito.”
O almeno, non subitissimo: il tempo di fare una bella tabella.
E così è stato.
La svolta, un periodo divertentissimo, adrenalinico. Di crescita costante in termini di risultati, culminato con la gara di Marigliano e con Giggino che al traguardo mi ha urlato “ma ch’e cumbinat?!”.
E non lo sapevo nemmeno io, in effetti.
NdA
Sono un runner mediocre, se rapportato a quelli veramente forti.
Lo metto sempre in chiaro e lo tengo sempre a mente.
Ma proprio per ciò so dare valore a tutto ciò che faccio per la corsa.
Quello che accade e cambia ed evolve dipende da me, e a me ritorna in vari modi.
Non conosco attività che mi abbia formato altrettanto.
Quindi, chiuso l’inciso e tornando a noi, in quel periodo sono migliorato. E questo è un punto.
E credo sia interessante parlarvene, perché per quasi tutti i runner la questione del miglioramento è centrale. E raccontarvi cosa ho fatto io potrebbe essere utile anche per voi.
Riepilogando:
– venivo da un periodo asfittico, martoriato da continui stop: anche per ciò avevo deciso di correre senza stress;
– gli infortuni avevano più cause: una situazione di debolezza generale, causata da una condizione fisica non ottimale e una certa incuria per i dettagli, che nella corsa pure contano qualcosa.
Cosa ho fatto – 1:
– mi sono messo a leggere e a documentarmi, anche in maniera casuale: ho capito che il periodo di malessere non era drammatico, ma soltanto condizionato da alcune situazioni gestite male:
a) avevo un peso adatto alla corsa, ma una cattiva composizione corporea;
quindi per prima cosa sbagliavo alimentazione;
b) correvo con uno stile mio, derivante dal basket, ma potevo provare a migliorare la tecnica di corsa.
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Foto (fantastiche) di Ilaria Fedeli.
Cosa ho fatto – 2:
– passaggio cruciale: ho fatto una terapia della lingua, eliminando una serie di tensioni muscolari che mi facevano stare contratto praticamente tutto il tempo: fortuna ha voluto che conoscessi già il Dott. Alberto Ferrante, un amico e un grandissimo fisiatra, che mi ha seguito in tutto il percorso e raddrizzato quasi completamente: non sono più tornato indietro;
– altro passaggio cruciale: mi sono rivolto a una nutrizionista, la Dott. Assunta Siani, che è diventata poi un’amica e che mi ha insegnato come alimentarmi, mettendomi in condizione di non soffrire più a ogni seduta, anzi di godermi gli allenamenti (tranne le ripetute, ve lo dico onestamente).
Conseguenza sul lungo periodo è stata quella di riuscire a correre di più e meglio: sono passato da 35-40 km settimanali, che mi costavano una grande fatica, a 70 km come fosse niente.
Risolti questi due problemi basilari e aumentato il chilometraggio, mi sono dedicato a:
– esercizi specifici riguardanti mobilità ed efficienza dei piedi;
– esercizi di tecnica di corsa.
E poi ci ho messo costanza e pazienza.
Ho messo da parte il controllo continuo dei ritmi e dei tempi.
Ho lavorato molto sulle sensazioni e sull’efficacia degli allenamenti.
Ho imparato a gestire ogni seduta in relazione alla sua finalità (ogni tanto, però, mi scappa ancora qualche lento sveltino).
E la nuova routine mi ha dato fiducia: ha messo chilometri nelle mie gambe così come determinazione nel mio animo.
E ho tolto due minuti dal personale.

Poi è subentrato anche il Coach Tonino, un grande, che ha ulteriormente fatto crescere la mia capacità di corsa e la convinzione di potere gestire allenamenti più impegnativi.
Tanto da correre l’anno scorso la prima maratona – gara che ho sempre temuto e che non amo profondamente – con un tempo finale dignitoso e con una gestione fantastica.
Quindi, cosa è lecito aspettarsi?
Senza fare gli ingenui, il miglioramento è legato a parametri chiari e inevitabili:
– genetica
– potenziale atletico
– età attuale
– età atletica
– peso
– volume e qualità dell’allenamento
Quando si è amatori e si corre ormai già da parecchi anni, con conseguente avanzare dell’età, è chiaro che non ci si possa aspettare granché in termini di crescita. Anzi, i riscontri cronometrici saranno via via calanti.
La risposta finale è che, se siete amatori master come me, si può migliorare poco, salvo alcune eccezioni (chi ha cominciato in età avanzata a correre e ha già una discreta condizione fisica).
Ma il punto non credo che sia questo.
Personalmente penso che la lezione più importante sia la tensione a una gestione ottimale, secondo la condizione che si vive.
Capire, pianificare, curare i dettagli per tirare fuori il meglio da sé.
Quando gareggio, nei momenti di sconforto, quando penso che non ce la farò, ribatto a me stesso, ricordando tutti gli allenamenti fatti, le sessioni sotto la pioggia e con il vento maledetto, le ripetute con le gambe imploranti pietà, i cani che mi hanno inseguito.
Più del tempo finale, è importante il percorso che ha portato ognuno di noi al via di una gara. È quello che va onorato.