Tutto comincia da Decathlon-Cairoli.
Entro.
Mi fermo come sempre a guardare i fiocchi di avena e le proteine in polvere.
“Oh, però il prezzo è buono”
Non li compro.
Mi fermo a guardare le barrette sostitutive.
Non le compro.
“Ah, pure il burro di arachidi hanno portato!”
Ma lo trovo a meno altrove.
Non lo compro.
Scendo al piano di sotto.
Ho bisogno di uno zaino nuovo, il vecchio si è sfondato.
Lo compro.
Faccio il solito giro di routine nel reparto running.
Le vedo. 29 euro di stronzata. Le chiodate.
Le compro.
Poi programmo la mia prima gara di cross.
Mi entusiasmo.
Come so quando sta arrivando l’entusiasmo? Quando ho paura.
“E come ci si corre? E dove le uso? E se vado al parco, mi devo portare due paia di scarpe…
E poi le lascio là, mentre corro? E se c’è una buca nel terreno? Ci vorrebbe una pista…”
Una pista.
“Ma quando sei tornato a casa, non stavano per ultimare i lavori della pista del CUS di Bicocca?” mi chiedo, conoscendo la risposta. E già sono in metro per andare a vedere.
Ed è nuova ed è bellissima, a quattro corsie.
Sì, non sono le sei canoniche.
Perdonatemi, eh, ma da zero a quattro mi pare che potrei andare a baciare in bocca l’intero CUS di Bicocca.
Quindi sabato l’ho vista, lunedì sera ci vado per la prima volta.
Prendo la metro già vestito per correre, giubbino sopra e zaino tattico con il cambio.
Entro, chiedo, pago, mi indicano gli spogliatoi.
I due tipi all’accettazione sembrano usciti da un film di Fellini.
Lui biascica frasi con “bu” e “ba” e “scia”, lei ha i capelli rosso Ferrari.
Entro nello spogliatoio, lascio lo zaino e il giubbino; poi vedo che tutti hanno lo zaino in campo. Lo riprendo e lo porto con me. Lo lascio sotto un albero. Sono già pronto. Parto con il riscaldamento.
La pista è nuovissima, integra e morbida.
Sugli spalti c’è un gruppetto di ragazzi, tutti stretti uno vicino all’altro contro l’umidità.
Sotto gli spalti un paio di genitori aspettano i figli chini sul cellulare.
La pista e il campo da calcio sono pieni.
Un gruppone di ragazzi fa le ripetute brevi, trainato dal coach: un tipo alto e fisicato, che mi incrocia e chiede “Devi fare qualche lavoro specifico? Ti serve una corsia?”
A me? E chi so’? Bekele…
Intanto un gruppone di bambini gioca dietro una delle due porte da calcio: fanno avviamento all’atletica.
In campo, invece, c’è una squadra di calcio giovanile. Partitella a metà campo. Il coach urla da bordo campo.
Nella buca dei salti un gruppo di ragazzine si cimenta negli atterraggi. Se la ridono.
Io giro imperterrito, riscaldandomi prima della prova in pista con le chiodate. Sono curiosissimo.
L’unica ferma in tutta ‘sta caciara è una ragazza bionda. Coda di cavallo alta, giacchetta antivento arancione, calzamaglia azzurra: vestita una merda come tutti noi.
Sta sola all’altezza del traguardo.
La sua allenatrice è lì di fianco, intabarrata.
La ragazza prende e poi sistema degli ostacoli.
Con grande calma li piazza uno dopo l’altro, una decina in tutto.
Cura con precisione la distanza tra gli attrezzi.
Ripassa a controllare.
Quando è pronta, va sulla linea del traguardo.
Si mette di fronte agli ostacoli, che sono sul rettilineo, e parte.
Li supera ogni volta con una tecnica differente.
Una volta con una sola gamba, esternamente. Poi torna al primo.
Una volta con dei balzi brevi, degli impulsi, prima di scavalcarlo. Poi torna al primo.
Un’altra saltandoli a pie’ pari. Poi torna al primo.
È una nemesi di ciò che sono io in questo momento.
Io me ne vado per la pista, corricchiando rilassato e senza pensarci.
Lei usa solo i muscoli che le servono.
Contrae ciò che è utile a quel gesto, decontrae tutto il resto.
È una ragazzina, ma la tecnica che usa la fa sembrare serissima, estremamente competente.
Mentre i ragazzi del gruppone sfrecciano in prima corsia, io smetto di rimbalzare sul tartan.
Mi fermo vicino al mio zaino, mi cambio le scarpe, metto le chiodate.
Do tutte le impostazioni al gps e mi metto sulla linea dei 300, pronto per le ripetute.
Se mi sorpassano i giovani del gruppone, penso che mi aggrappo tipo assalto alla diligenza.