Ma me lo volevate dire?
Devo fare sempre tutto da solo?
E che vi tengo a fare?
Parto da casa col buio, già in calzamaglia: il vostro Peter Pan campano (che riproposto nel mio idioma d’origine suonerebbe tipo “Piterpànn” con molte enne finali).
Entro in metro: le tasche del giubbotto piene di roba, tipo Pollicino; uno zaino piccolo e scassato sulle spalle.
Scelta tattica, quella dello zaino: viaggio con i mezzi, nessuna società di supporto sul luogo di gara: a solitary man. Solo.
Solo come un bengala dimenticato, attaccato alla ringhiera il 4 di gennaio.
Ho dovuto immaginare lo scenario peggiore. E nello scenario peggiore avrei lasciato lo zaino, ripieno dei vestiti e del giubbotto, a bordo campo di gara, affidandolo con occhi pietosi alla cura di qualcuno lì presente.
La roba utile me la sarei portata in un marsupio.
Che schifo correre con il marsupio.
Ma non è andata così. Perché sono arrivato al campo di gara con una parlantina a manetta e ho parlato con tutti.
E quando dico tutti, TUTTI.
Solo all’edicolante fuori dalla stazione non ho dato a parlare.
Ho chiesto, commentato, offerto spillette a runner bisognosi.
E alla fine sono stato ripagato: lo stand dell’Atletica Cinisello mi ha ospitato per il cambio e il deposito borse. Lì ho conosciuto Fausto, Umberto e Gianmarco: chiacchiere pre-gara, domande: ero molto curioso di correre il mio primo cross e la mia prima gara con le chiodate.
Sì, sono un M35. Ed è la prima volta. Esatto. Mai troppo tardi.
Vado a fare riscaldamento con Umberto, che è ‘uaglione (26 anni, biat a iss) e chiacchieriamo. Mi racconta delle gare che ha fatto ultimamente, dei propositi.
Io intanto me ne vado sgambettante sull’erba ghiacciata e, non a caso, mi si ghiacciano i piedi.
Rido.
Durante il riscaldamento,
“Oh, ma quello lo conosco!”
“Sì?”
“Sì, da Strava”
“Stra-ché?!”
“Aspetta, che gli vado vicino e lo chiamo per nome. Se risponde, è lui”
“EMI!”
“Ciao!”
“Sono Sebastiano. Su Strava!””
“Figa, ti ho guardato e ho detto ‘ma chi è?! Ah, ma è quello del Parco Nord e della Campania! E che ci fai qua?!”
“Sono tornato”
L’amicizia ai tempi dei social network per runner.
Ci mettiamo tutti sulla linea di partenza. C’è un gruppetto di ventenni della Pro Patria, che da come si mettono sulla linea, capisci che partono a 3’/km e addiomondo.
Io mi metto lateralmente per partire davanti, sì, ma senza forzare troppo.
Che ne so? Chiodate la prima volta, cross la prima volta.
Non voglio farmi male, voglio sentire bene le sensazioni.
Tre giri da 2 chilometri: ogni giro per metà è in un campo con curve strette, la seconda parte è in un boschetto (no, non della mia fantasia).
Sparo.
Nella ‘recchia.
I giovani volano davanti, io mi metto in coda dietro il secondo gruppo.
Accorcio un po’ i passi e cerco di appoggiare bene, anche perché un po’ si scivola.
Mi sento tranquillissimo. Sto bene.
Cazzéo le persone a bordo campo che incitano soltanto “Gabri”, che credo sia il tizio dietro di me.
“Ci siamo anche noi, dai!”
Mi guardano come fossi stato una zebra parlante.
Non ci sono molti sorpassi. Solo su certi dossi si riesce a fare qualcosa e sul rettilineo a fine giro.
Io me ne vado tranquillo. Cerco di poggiare bene i piedi, un po’ per non sbattere i talloni e un po’ per tenere bene la presa a terra.
Prima della gara si parlava della lunghezza opportuna dei tacchetti.
“Ah, ci vuole da 15 o almeno da 12”
Io sono entrato da Decathlon, ho visto le chiodate e le ho prese.
Chiodi=buono. Stop.
Non so ancora quanto siano lunghi.

Comunque, primo e secondo giro fatti. Emi è poco davanti a me.
Ha quasi cinquant’anni, ma è una furia.
Il terzo giro vola via agile.
Arrivato all’ultimo chilometro, accelero per chiudere un po’ più forte.
Recupero qualche posizione, più per autostima che per utilità.
Tuttavia, alla fine: niente crostata. Solo certi mottini fetenti e delle barrette ai cereali.
Qualcosa deve andare storto per ricordarci sempre quanto la vita sia parca di soddisfazioni.
Ma no, non è vero, fa niente: grandi risate con i ragazzi dello stand. Andrò a trovarli in sede a Cinisello, che tanto è vicino casa mia.
Intanto si aggirano per il viale, quello prima del campo di gara, una marea di bambini e di ragazzini.
Criaturielli pazzi, figli di genitori pazzi, che corrono sull’erba ghiacciata, sporchi di fango fino alla vita.
Io. Devo. Diventare. L’allenatore. Di. Una. Squadra. Di. Piccoli. Sciroccati. Come. Questi. Qua.
E poi appuntamento con Emi al Parco Nord per qualche allenamento assieme.
Passaggio al ritorno da parte di Umberto, gentilissimo, che vive a Sesto. Grande chiacchierata in auto su lavoro e scelte lavorative.
“Rischia, Umbe’. Non ti preoccupare. Quello che hai fatto finora diventerà utile per ciò che farai”
È uno sveglio, si vede. E farà un pacco di soldi.
Intanto gli farò da pacer per qualche seduta di medio o corto/veloce.
Se mi metto una mano addosso ora, prendo la scossa.
Me lo dovevate dire prima quant’è bello il cross.