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Volpino

Primavera 2020, serrata totale per colpa del Covid-19.
Chiuso in casa a Milano, in quarantena, affacciato al balcone, guardo i palazzi brutti dell’edilizia popolare anni ’60 dall’altro lato della strada.
C’è un signore che porta a spasso il cane e va verso uno di quei palazzi.
Immagino una storia, la pubblico su Instagram.

1.

La città azzittita non sembra più la stessa. Le strade vuote, le automobili in giro rare. La pandemia ha rinchiuso tutti dentro casa, a parte pochi passeggiatori. Qualche sciroccato a zonzo, parecchi anziani col carrello della spesa e un po’ di gente con la mascherina. Qualcuno s’alza una sciarpa sopra il naso e la bocca.
Quelli che si prendono maggiori libertà sono i proprietari di cani. Garantiti da un decreto del primo ministro, possono portare in giro il proprio animale domestico e ne approfittano per stare a spasso, lontano dal resto della famiglia. Un marito o una moglie in casa tutta la giornata, quando non sei abituato, ingombrano. Non solo fisicamente, anche gli spazi mentali.
Un tizio se ne va in giro con il suo volpino, palesemente affannato. Non è giovane, né vecchio. Ha il cappuccio della felpa nera calato in testa, la pancia che sporge sotto la zip chiusa, i piedi piatti non proprio in asse con la direzione di cammino. Cammina sul marciapiede e trascina la povera bestiolina, che non fa in tempo ad alzare una zampa per fare pipì, che già deve recuperare la distanza.

2.

Arriva a destinazione, entra in un parco privato, aprendo il cancelletto socchiuso. Percorre pochi metri sul sentiero di mattoncini, poi s’infila sotto il porticato e arriva in fondo, dove c’è il portoncino interno, che s’apre sulle scale. Dall’angolo al buio viene fuori un ragazzo magro magro, non sembra in buona salute. Ha un cappello da baseball che gli fa la testa enorme sulle spalle strette. Vanno uno incontro all’altro.

Il tizio con la felpa allunga la mano con i soldi, con l’altra tiene il volpino che vorrebbe annusare una siepe poco distante. Il ragazzo col cappello prende i soldi e gli lascia in mano un pacchettino. Il tizio, soddisfatto e incuriosito, gli chiede:

– Ma ho saputo che Coso, il tuo… Il solito, insomma… S’è beccato il virus e sta in ospedale. E a te ora, chi te la porta?
– Zio, vai via. Vai, vai. Via!

3.

Il tizio con la felpa esce dal parco, lascia il cancelletto come l’ha trovato. Fa la stessa strada anche al ritorno, il volpino sempre al seguito, sempre con la linguetta di fuori. Si guarda intorno, gli sembra di vedere la stessa gente incrociata anche prima.

Ci pensa a ‘sta storia del fornitore nuovo, è curioso. Vorrebbe sapere. La noia dei giorni di quarantena è enorme, questa novità gli ha dato una botta di entusiasmo. Con tutti i casini che ci sono in giro, con i vigili a fare controlli, i militari in certi incroci, organizzare un servizio di distribuzione non deve essere facile. Bisogna diventare invisibile, sparire alla vista di tutti. Difficilissimo proprio ora, che lo spirito del delatore sembra avere conquistato tutti. La gente dai balconi se la prende con i passanti, denuncia i comportamenti impropri alle autorità, sputa sui runner.

4.
Non riesce a valutare se la logistica sia più o meno facile ora, anziché in passato. Gli viene da pensare che possa essere più difficile, perché sono saltati i canali principali e intermedi di trasporto, perché il territorio è presidiato e si finisce facilmente sott’osservazione. Però, è anche vero che è tutto molto più tranquillo e che gli occhi che vigilano guardano altrove. Quasi ci pensa di diventare lui un fornitore. 

Sì, ok, ma come? Lui la roba se la fa, quei quattro soldi che ha li spende così: a cosce aperte sul divano, la pancia che quasi non gli fa vedere la tv che ha di fronte, qualche birra che si fa calda mentre mangia, le briciole sui cuscini e a terra.
Quando arriva all’indirizzo di casa sua, passa per la portineria. Lascia il cane alla portinaia, le molla 5 euro per il prestito.

5.

Il ragazzo col cappello è ancora nel colonnato, che è quasi al buio ormai. L’aria all’esterno è stata piacevole durante la giornata, ma ora che è sera è fresca. Le piastrelle sono scivolose per l’umidità.
S’è alzato il vento e lo raggiunge fin là, anche se cerca di starsene al riparo.
Aspetta fermo lì, spazientito.
Le braccia strette intorno alle costole ossute, le caviglie scoperte sopra le Jordan. Vorrebbe andarsene a casa, alla tv danno Harry Potter. C’è il Prigioniero di Azkaban.
– Minchia, zio. Harry Potter! Se t’aspetto qua ancora un po’, m’ammazzi col freddo, oh.
Ma parla da solo.
Poi il fornitore prende forma davanti a lui passo dopo passo, è un’ombra nella sera.  Gli va incontro senza tentennare. Sicuro, calmo.

6.

– Minchia, zio. Quanto mi fai aspettare?
Il fornitore si avvicina fino a un metro da lui.
– Oh, zio. Stammi lontano. Social distancing… – e se la ride.
Il fornitore gli tira uno schiaffo. L’anello che ha sulla mano becca lo zigomo del ragazzo. Le dita grosse e callose gli riempiono la guancia.
Il ragazzo sbanda e resta in piedi a stento. Il fornitore gli butta la roba impacchettata a terra.
– Paga.
Lo spacciatore gli allunga i soldi.
– I guanti, stronzo. Ma la guardi la tv? Hai capito che cazzo sta succedendo?
Lo spacciatore tira fuori dei guanti monouso, li infila, gli dà i soldi.
Quando si cala a prendere il pacco, è ancora mezzo intontito.
Il fornitore è sparito.

7.

Il tipo con la felpa se ne sta davanti al televisore. Si annoia, sta senza fare un cazzo da settimane ormai. Non lavora ed è solo in quella che chiama casa, ma che in effetti è una stanza con degli angoli organizzati, al momento tenuti davvero male. Di pulire non ha mai avuto voglia.

Fissa lo schermo, fa zapping e non sa cosa vede. Aspetta l’ennesimo decreto che ascolterà male. Armeggia col cellulare, salta dal video de “Le 15 cose che puoi fare con i fogli di alluminio” al controllo ossessivo delle notifiche che non arrivano dai social. Ha scoperto da poco TikTok. Non lo capisce, ma è come una droga. Un’altra.
A ogni ancata che dà per fare arrivare sangue alle chiappe, delle briciole rotolano via.  Il copridivano è pieno di macchie, che hanno il loro doppione allargato sul pavimento. Carte colorate e vuote di merendine stanno sul tavolino, qualcuna a terra.

8.

Conte appare alla tv, comincia la conferenza stampa.
Il tizio segue con attenzione, si incazza a ogni comunicazione. Quando la linea passa a un ministro o a un giornalista, sbraita ancora di più.
– Paese di merda! Vaffanculo! Ce lo meritiamo, siamo stati puniti perché non siamo più noi, abbiamo perso tutto… Il Made in Italy abbiamo… Abbiamo tutto… Tutto! Potremmo vivere di turismo. Il paese più bello del mondo, ridotto così dai cinesi, cazzo. I cinesi!
Si illumina lo schermo del cellulare, telefonata in arrivo. Risponde.
– Vengo.
Si scuote di dosso briciole e schifezze. Va in bagno, piscia, si sciacqua la faccia e si butta i capelli all’indietro. Prima di uscire, prende la felpa e se la infila. Chiude la zip.
Passa in portineria a prendere il cane.

9.

Lo spacciatore conta i pacchetti, ne mancano un paio.
– Che stronzo.
La faccia gli formicola ancora. Un molare, sempre lo stesso, dopo la botta punge come un chiodo in bocca. Di andare dal dentista non gli va proprio: ne ha paura e gli costerebbe un botto, ma forse questa volta deve per forza.
Dopo poco arriva il tipo col cane. Si prende la roba, paga.
– Senti, il prossimo giro te lo pago io, se mi aiuti.
– A fare cosa?
– A farla pagare a quello stronzo.
– Chi?
– Quello che me la porta.
– Figa. E chi è?
– Cazzo te lo dico a fare? Lo vedi quando viene.
– Affare fatto.
Il tipo con la felpa torna a casa gasato. Lascia il cane in portineria, allunga 5 euro alla portinaia.

10.

La volta dopo i due aspettano nel sottoscala umido. Il tipo con la felpa si nasconde nel buio in attesa. Arriva il fornitore, sicuro, tranquillo nei suoi passi regolari.
Il ragazzo col cappello gli va incontro per lo scambio. Gli tremano le mani.
– Perché ti tremano le mani?
Lo spacciatore gli dà addosso, lo spinge, fa cadere i soldi. Il fornitore gli blocca le braccia, lo trattiene. Il ragazzo non lo smuove, anzi cede subito. Il fornitore molla la presa con la destra, dal taschino prende una specie di bacchetta e gliela punta addosso. Il ragazzo prende a tremare fortissimo.

11.

Accorre il tipo. Quando sta per saltare addosso al fornitore, dal buio due mani lo prendono per le spalle e lo sbattono a terra.
Il ragazzo sta a terra mezzo cotto.
Il tipo sta tramortito disteso, guarda il soffitto e non capisce un cazzo.
Il fornitore raccoglie i soldi assieme a una tizia corpulenta, che ha le spalle larghe e due braccia grosse come cosce. Recuperano tutto, anche la roba. Vanno via senza guardare.

12.

Il tipo con la felpa s’è chiuso in casa.
Resta sul divano tutto il giorno, da giorni. Per alzarsi, aspetta il momento di andare in bagno. Mentre sonnecchia, spesso sbanda, sognando di essere sbattuto contro materassi gonfiabili, muri pieni di muffa, automobili calde sotto il sole d’estate.

In tv c’è l’ennesimo bollettino di aggiornamento: numeri, statistiche, percentuali. Lo segue, ma non recupera informazioni utili, lui che è buono a contarsi le dita e a prelevare dalla Postepay 30 euro per volta.

È ancora pieno di dolori. Ha le spalle infuocate e la testa che gli pulsa all’altezza del cervelletto. Guarda la mensola su cui tiene la roba da mangiare. Deve fare la spesa.
Lo spacciatore non si fa sentire da parecchio.
Si alza, ha fame. Senza riscaldarla, riempie una piadina con quel che resta di una busta di salame milanese, sopra ci mette un paio di cucchiaiate di stracchino. Piega a metà, addenta.
Flash.
– Cazzo, il cane!

13.

La portinaia sta seduta dentro la guardiola.
Capelli legati, mascherina con valvola semiprofessionale. guanti monouso azzurri.
Occhiali tipo saldatore ma in plastica leggera. Controlla le poche persone che passano, le saluta con un cenno della testa. Passa in rassegna ogni cosa. Ha tutti i prodotti per sanificare: detergenti smacchiatori, gel igienizzante, pezze e pezzuole, scopettone, secchio.
Ha una lista di cose da fare: pulire la Scala A, consegnare il pacco al nonnino dell’interno 34, controllare il gradino tra secondo e terzo piano della scala B, che pare sbeccato.
La tv è accesa alle sue spalle. La D’Urso piange mentre ride e prega
Sul fornello una pentola ribolle, manca poco e il riso sarà cotto. Flash.
– Quello stronzo non mi ha riportato il cane!

14.

Il ragazzo col cappello, senza cappello, sta disteso in un letto non suo. Le lenzuola sono fresche, rigide. Intorno un odore di pulito, come fosse la prima ora a scuola vent’anni prima.
Ha un camice addosso. Le braccia scoperte, i piedi nudi e pelosi. Gli si avvicina un infermiere.
– Le è andata bene. L’hanno portata qui in ospedale appena in tempo. Pochi minuti e non saremmo riusciti a salvarla dalla crisi.
Non riesce a rispondere.
– La lingua era quasi completamente ritratta.
Fa cenno di sì.
– E le è anche andata bene che sia successo ora. Una settimana fa non so se saremmo riusciti a intervenire, con tutti i casi d’emergenza in rianimazione.
Fa ancora cenno di sì.
– Vabbe’, è andata bene comunque. Mi faccia un favore, finché è qui: mangi tutto, ché è così magro che il letto non si piega sotto di lei.

15.

Lui è appena uscito di casa. Sta andando a fare la spesa.

Ha messo le scarpe comode, ché ha un po’ di strada da fare. La tuta che indossa è in felpa: non stringe e lo tiene caldo. Sopra tiene un impermeabile leggero, che laverà appena rientrato in casa. Pare che il virus resti attivo su alcune superfici. Non vuole rischiare.
Ha la mascherina tenuta bene sopra bocca e naso. In testa porta un berretto da pescatore, che gli copre un po’ le orecchie. Infila i guanti. Non scivola bene quello alla mano dove porta la vecchia fede. Con la chiave apre la porta della cantina, dove tiene il carrellino della spesa, quello con le due ruote.
– La lista ce l’ho sul telefonino? Sì.
La controlla, avvicinando lo schermo al naso.
– Figa, non ci vedo mica tanto bene… Mi pare ci sia tutto. Ma prendo pure una bottiglia di Franciacorta per la mia bella ciaciona. Avarizia crepa.
Se ne va con passo sicuro, calmo.

16.
La tipa corpulenta si gode il silenzio.
In casa da sola.
Sono momenti che durante una giornata contano tanto. Si sente libera come da bambina. Dalla finestra che affaccia sul cortiletto interno vede un grosso albero di magnolia, in mezzo ai suoi rami i merli si inseguono.
Va a sedersi sul divano: il segnale non convenuto per il nuovo ospite, che le corre in braccio e le saltella verso la faccia per leccarla.
– Oh, piccolo canino, come sei bello tu. Noi salvato te, adesso tu con noi felice.
Se la ride lei, mentre il volpino rimbalza senza sosta.

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