Sì, con risultati discutibili, ho fatto il calco a Barthes.
Ma non vi ho chiesto manco un euro, né sono stato pagato da Einaudi, quindi…
cifra (ant. cìfera) s. f. [dal lat. mediev. cifra, e questo dall’arabo ṣifr «nulla, zero», che è un calco del sanscr. śūnyá «vuoto, zero»]
0.
Come camminare al buio lungo la strada che porta a casa.
I profili dei portoni e dei balconi, il caracollare di certe persone: consueti, anche nell’oscurità.
Così – almeno pare a me – ombre di ricordi, odori e colori tengono sospeso il passato emotivo, in cui ci si muove con una certa confidenza. Ma fino in fondo non si sa, non si capisce; poi a volte ci si perde, si dimentica (o addirittura si scorda) e ci si confonde.
Profili e ombre s’aggirano, si muovono sulle code degli occhi, richiamano memorie, eppure modellano i riconoscimenti futuri.
1. Nominare
Qualcuno dà un nome. A volte accende una luce, altre mette sotto il naso altrui l’oggetto/soggetto prodigioso.
Perché c’è sempre l’assistente alla magia, consapevole o meno, che si adopera per la riuscita del numero, che nasconde il trucco più vecchio del mondo, illumina la scena e facilita la meraviglia.
1. bis
Il trucco può essere usuale, ma di sicura riuscita. Tipo le foto.
Càpita.
Le si guarda, intanto si ascolta. Qualche domanda, poi ci si perde in altre chiacchiere.
Passata quell’occasione, poi passano i giorni, i mesi.
Passa tempo. Non ci si pensa, ma non si dimentica.
2.
Perché anche questo succede spesso
(ma non starete mica pensando che “frequente” sia sinonimo di “poco rilevante”?): non ci si incontra prima:
per un amico che si ferma a chiacchierare;
per un saluto dall’altra parte della strada;
per un “no, sono stanco, domani”;
per un “sì, vengo, come no”.
“… il caso giocava con loro.
Non ancora pronto del tutto
a mutarsi per loro in destino,
li avvicinava, li allontanava,
gli tagliava la strada
e soffocando una risata
con un salto si scansava.”
(W. S.)
3. Sfondare soffitti
Viviamo in case cubiche, comunque coperte.
Chiudiamo preziosi in scatole chiuse.
Teniamo beni e oggetti, più o meno cari, impacchettati.
Ma cresciamo, viviamo e riviviamo, quando siamo fuori, quando siamo altro da noi.
Ogni germoglio vince la resistenza della scorza che lo protegge. Se vuole manifestarsi come vita, deve muovere verso l’esterno: per esprimersi, per farsi invadere dalla luce, per imparare a conoscersi e per conoscere ciò che c’è intorno.
Muore secco il germoglio schermato, muore inerte.
4. Intervallo
Passano i mesi dell’ultimo anno assurdo. Succede di tutto a tutti.
Come tutti, anch’io scrivo, sento, rispondo, sparisco. E altrettanto ricevo e subisco.
Si fermano le vite in pochi metri quadri e in un reticolo di comunicazioni isteriche e frammentate. Affondiamo tutti nell’inverno per riemergere quando i fiori sono sugli alberi.
Poi torno a casa mia, che pure mi crea qualche problema come definizione.
(Dov’è casa mia?)
5. Ellamadonna
Le apparizioni, almeno nella mia testa, immediatamente rimandano al mondo mariano. Non sono mai stato partecipe di una di queste, né sono cultore della materia, ma vivo vicino Pompei. Tant’è.
Ma l’appellativo “madonna” non è solo rivolto al culto cristiano, infatti ha una duplice referenza, tanto religiosa quanto laica. La storia della lingua italiana conferma ed è alla base di quest’affermazione.
Tante sono le rime dedicate a madonne, più o meno condiscendenti.
Religiosa o laica, comunque, un’apparizione può essere rivelatrice. Per restare in tema, epifanica. Mostra qualcosa, rivela un’essenza, svela. Anche quando è legata a una carnalissima presenza femminile.
5 bis.
Non è una questione di intelligenza.
Non è una gara di prontezza.
Non si riceve un premio.
È una condizione che si verifica.
Uno dei due, prima dell’altro, ha la visione.
Posseduto da un demone che artiglia il tempo e lo attira verso di sé, uno dei due immagina due, vede per due, crede a ciò che vede.
A volte il demone, annoiato, va via e lascia l’infervorato al suo destino ipotizzato. Altre volte, invasato, lo stordisce di canti e schiaffi, mentre ride per ciò che sarà.
6. Il corpo dell’altro
Ripescando dalle ombre (di cui al punto 0.), la memoria, guidata dagli occhi, trova corrispondenze con antiche forme amate.
Potrebbe essere di tutto, dal generale al particolare; dall’altezza alla silhouette, dalla rotondità di una guancia a come si piega il gomito, fino alla forma del naso e allo spessore delle labbra.
Il corpo dell’altro è una traccia di ciò che è stato già amato; una landa nel bush, ancora da scoprire; un progetto di conquista futura.
Il corpo dell’altro non è parte di una scissione scolastica materiale/immateriale: è il tempio sacro dedicato a ogni amato, custodia del rito, attivo anche senza cerimonia.
Quando scompare, il demone resta perplesso. Come una capra su un muretto che guarda il mare.
7. L’eco
Curioso momento in cui si prova il funzionamento di un fenomeno certo, che pure sorprende sempre e dà soddisfazione, tanto ai grandi quanto ai piccini.
Un esercizio di rispondenza, che ci dà la misura dello spazio circostante e in cambio ci informa su noi stessi.
Imparare la lunghezza del passo. Camminare fianco a fianco senza dire. Sfiorarsi, sentire l’altro. Urtarsi a volte, spingersi piano, stringere un braccio senza motivo.
Parlare, cantare, sentire che le risate risuonano insieme. Tutto ciò è l’eco. Prima che sia amore (o no).
È un indizio.
È un indizio!
È un indizio?
8. Le paure ignoranti
Quando il demone smette di menare schiaffoni, rifiatando a fondo, riempiendo d’aria i polmoni, facendo salire alto il diaframma, scaricando fuori tutto espirante, il cervello s’imbeve di lucidità per qualche secondo.
La schiacciante presenza di ossigeno fa acuto lo sguardo.
E se avessi immaginato tutto?
E se niente fosse vero?
E se fosse questa la fine di un inizio mai avvenuto?
9. Hysteron proteron
La mente del desiderante s’appoggia a uno stato delirante, che convoglia tutte le sensazioni, le intuizioni, le premonizioni, le incertezze e gli entusiasmi in un centro ipotizzato, che – credo – per pigrizia i teorici dei fatti amorosi hanno collocato ad altezza cuore.
Personalmente ritengo sia più una questione di pertinenza dell’apparato digerente, in particolare dello stomaco, più nel dettaglio de “la bocca dello”. Appetito sregolato e gastrite sono chiamati a sostegno della tesi.
In quel centro convenzionale, polo geografico corporale, finiscono le ricostruzioni di dialoghi e confronti spesso mai verificatisi. Non di rado succede che queste operazioni filologiche procedano al contrario.
Da un’ultima frase o da una nel mezzo di un discorso più ampio, il desiderante estrapola un concetto; lo pone su una linea temporale; a ritroso traccia un itinerario di considerazioni e scambi di battute, che lo portano dalla parte della ragione che desidera avere in quel momento:
- quella della vittima d’amore
- quella dell’aguzzino
- quella dell’essere superiore alle vicende terrene
- oppure quella del disperato, che non vede la fine della sua pena, ma nemmeno la desidera.
Ti suggerisco un altro elemento anatomico coinvolto in alternativa al cuore e allo stomaco (none, non pensavo male): il nervo vago. Fa un sacco di cose, ma anche solo per il nome andrebbe preso in considerazione.
Io sono sempre la capra sul muretto.
Lo conosco poco il nervo vago, perciò, ma il nome andrebbe premiato. Vero.